• 11 Ottobre 2024 10:06

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Crisi. Il sistema delle PMI della nautica tiene il passo

Indagine di Cna – Eures. Ucina: perdita da 1,5 miliardi

 

L’industria nautica italiana mantiene la sua leadership. Merito del made in Italy – vero e proprio “vantaggio competitivo” –  e di una tendenza a diversificare le attività che è riuscita, almeno in parte, ad attutire le conseguenze della crisi economica. 

È il panorama che emerge dall’indagine realizzata da Cna Produzione Nautica e Istituto di ricerca Eures, presentata nel corso del Seatec, la rassegna internazione di tecnologia, subfornitura e design per imbarcazioni, yacht e navi, in corso a Carrara Fiera (Ms).

Dall’indagine, condotta su 211 imprese della filiera nautica associate alla confederazioni del Centro-Nord e in Sardegna, risulta che il 43% delle aziende dal 2008 non ha registrato variazioni di fatturato, il 38,9% ha avuto cali compresi tra il 10% e il 30%, mentre solamente il 16,8% superiori al 30%. Positivi anche i segnali sul fronte occupazionale: l’81,8% del campione indica una sostanziale stabilità sul fronte occupazionale, puntando ad una politica finalizzata a non perdere professionalità e competenze; il 17,2% dichiara invece una riduzione degli addetti.

Più stabile la quota del mercato estero che per il 92,1% delle imprese non ha subito variazioni; soltanto il 5% lo indica in diminuzione mentre per il 2,9% è in aumento. Di fronte all’impatto della crisi, il 73% delle imprese ha messo in campo strategie specifiche per recuperare gli spazi.

A fronte di una contrazione dei nuovi ordini, le aziende si indirizzano verso altre attività, innanzitutto verso quelle di riadattamento (34,6%), che consentono una maggiore continuità di lavoro, un rapporto diretto con il cliente finale e più liquidità. Seguono le costruzioni in vetroresina (22,7%), rimessaggio (18,5%), impiantistica elettrica, idraulica e ventilazione (17,5%), arredi e lavorazioni in legno (12,3%) e in altri materiali (13,3%).  

Al di là delle letture a breve termine, il 73% delle imprese non prevede per i prossimi 3-5 anni un ritorno dei livelli di redditività del periodo pre-crisi antecedenti al 2008; una prospettiva definita “improbabile” dal 36,5% del campione e “impossibile” da un altrettanto 36,5%; soltanto l’8,5% delle imprese immagina di recuperare nel medio termine quote di fatturato, un’eventualità ritenuta “possibile” dal 18,5%.

Un quadro in chiaroscuro su cui potrebbe influire negativamente la “tassa sulle barche”. Le perdite complessive per il settore secondo Ucina, infatti, ammonterebbero a 1,5 miliardi. “Dall’indagine dell’osservatorio nautico nazionale – sottolinea l’associazione – emerge che la fuga di unità dai porti italiani al 31 gennaio è di 27 mila unità, l’impatto sulle entrate dirette dello Stato è pari a una perdita di 104 milioni di euro, i posti a rischio sono 8.900, il mancato indotto generato dai superyacht in transito ammonterà a 210 milioni di euro, gli investimenti portuali a rischio arrivano a 1,4 miliardi di euro”. Il tutto “a fronte di un gettito, peraltro assai incerto, stimato di 200 milioni di euro”.