• 15 Maggio 2024 13:55

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Ordigni chimici inabissati nel Golfo di Napoli

Legambiente riesuma i “rapporti Brankowitz”

Alcuni documenti militari americani, i “rapporti Brankowitz”, che sono una sorta di sommari di operazioni di trasferimento e di smaltimento in mare di arsenali chimici effettuati dalle forze armate americane, parlano del Golfo di Napoli e del mare intorno all’isola di Ischia come sito interessato da queste operazioni. Ai rapporti di Brankowitz va aggiunta una relazione riassuntiva redatta dal Poligono di Aberdeen. Questi atti vennero resi pubblici durante la presidenza Clinton, in un’ottica di trasparenza complessiva: dopo l’attentato alle Torri Gemelle, però, la presidenza Bush impose di nuovo il segreto.

Uno di questi rapporti è in realtà solo una “Bozza” redatta il 27 aprile 1987 da William R. Brankowitz e relativa ad un “sommario storico sul movimento delle armi chimiche”. La lista si compone di 139 pagine e riguarda una mole di spostamenti fatti dalla fine del secondo conflitto mondiale al 1986. A pag. 5 si legge che dal primo al 23 aprile 1946 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da “Auera” (probabilmente trattasi di Aversa, base militare americana) con destinazione “il mare”: è stata, quindi, presumibilmente affondata al largo della costa campana. Quindi, subito dopo, si legge che il 6 ed il 7 maggio 1946 un treno composto da tredici vagoni partì sempre da “Auera” ed arrivò a Bagnoli. Qui il materiale (bombe al fosgene) venne imbarcato su una nave (la “Francis Newlands”), che partì il 22 maggio alla volta del deposito navale Theodor, a Mobile, in Alabama (Stati Uniti), dove arrivò il 13 di giugno del 1946 e da lì venne instradato verso un’altra località interna: la prova che la movimentazione di arsenali chimici in Campania era a quel tempo consueta.

Ci sono altri due documenti che trattano dell’effettivo inabissamento di arsenali chimici. In un incartamento di 51 pagine del 30 gennaio 1989, sempre redatto a cura di Brankowitz (“Sommario di alcuni scarichi di armi chimiche in mare effettuati dagli Stati Uniti”), si legge che tra il 21 ottobre ed il 5 novembre, e tra il primo ed il 15 dicembre 1945, nel “Mar Mediterraneo, isola d’Ischia”, sono state affondate quantità non specificate di bombe contenenti fosgene, cloruro di cianuro (“cyanogen chloride”) e cianuro idrato (“hydrogen cyanide”). Purtroppo, contrariamente ad altri casi citati nel rapporto, non viene specificato il punto esatto di affondamento del materiale.

In un altro documento del 29 marzo 2001, redatto a cura del Poligono americano di Aberdeen, a pag. 12 viene confermata l’operazione di smaltimento di cui si è appena detto. Anche in questo caso località esatta e quantità precise non vengono riportate. Stavolta, però, si parla di “discarica chimica di Ischia” (quindi un luogo consueto per queste operazioni). Parlando sempre di “discarica chimica di Ischia” viene confermata, a pag. 13, anche l’operazione di inabissamento svoltasi tra il primo ed il 23 aprile 1946, e si aggiunge che è stata rilasciata in mare una quantità imprecisata di bombe all’iprite ed alla lewisite provenienti dalla solita “Auera”. Il Golfo di Napoli, in quel periodo, viene utilizzato normalmente come discarica chimica. In data imprecisata, si legge ancora nel rapporto del 2001, 13mila proiettili di mortaio carichi di iprite e 438 barili, sempre di iprite, vengono affondati “nell’area di Napoli”.

Esaminando le carte nautiche e le profondità dei fondali marini del Golfo di Napoli, ed ipotizzando la partenza delle chiatte dal porto di Bagnoli (come del resto confermato dagli stessi rapporti top secret), due docenti dell’Istituto Nautico di Forio in collaborazione con il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche hanno individuato un’area dove, presumibilmente, gli affondamenti potrebbero essere stati effettuati.

L’area in questione è inscritta in un immaginario triangolo che ha per vertice Bagnoli; si è proceduto a tracciare due rotte limite: una tangente alle isole di Procida ed Ischia, e l’altra vicinissima all’isolotto di Nisida. Verosimilmente le chiatte e le navi usate per la discarica degli arsenali si sono inoltrate in mare aperto all’interno di questo cono largo, dal lato di Bagnoli, circa 42-47 gradi.

Secondo le carte con le profondità del Golfo di Napoli, procedendo verso Sud, Sud-Ovest, una volta superata l’altezza del Canale di Procida si riscontrano fondali superiori a cento metri, che diventano presto di 200 metri e quindi superano i 300. Spingendosi fino alla linea immaginaria che unisce Ischia e Capri si spalancano profondità fino a 500, 600, 700 e addirittura oltre mille metri: è la zona della Bocca Grande, un vero e proprio abisso dove può essere occultata qualsiasi cosa.

Tuttavia, data la scarsa sensibilità ambientale dell’immediato dopoguerra e la condizione di sostanziale strapotere delle autorità militari americane non è verosimile che siano stati cercati fondali così profondi per compiere il lavoro che si era deciso di fare. Per cui è più probabile che gli arsenali giacciano tra i 200 ed i 400 metri di profondità. Nella peggiore delle ipotesi, comunque, l’area da scandagliare si estende per 287 chilometri quadrati, pari a 155 miglia nautiche quadrate: una zona molto vasta, indubbiamente, ma non impossibile da esaminare con le moderne tecnologie di ricerca.

Anche il mare circostante l’isola di Capri non sembra essere esonerato dal problema. Da documenti dell’Archivio di Stato e Archivio Storico Comunale di Capri si fa infatti riferimento al minamento del golfo di Capri e specificamente della Bocca Piccola (stretto tra Capri e Punta Campanella di Sorrento) per evitare lo sbarco degli alleati durante il secondo conflitto mondiale, alla baia di Napoli. Subito dopo la presa degli alleati e la liberazione di Napoli avverrà lo sminamento per poter far transitare e partire navi dal porto di Napoli che diviene strategico per gli arrivi umanitari e per l’arrivo di truppe per la salita verso la linea del fronte. Subito Capri diviene Rest Camp e quindi lo sminamento continuerà da parte della Marina Militare con aiuti americani (fonte Archivio Roberto Ciuni).

Molto probabilmente, inoltre, dati gli altissimi fondali nella parte sud dell’isola (la scarpata tirrenica parte dopo circa 300 metri dai faraglioni di Capri) si verificavano scarichi di bombe dopo i raid sulla città di Napoli. Tali considerazioni sono avvalorate da un subacqueo di nota fama di Napoli che, intervistato da Legambiente, ha dichiarato di aver preso parte a varie spedizioni subacquee attorno all’Isola di Capri, anche sul versante della Bocca Grande (tra Capri ed Ischia, dove c’è la famosa secca delle vedove), asserendo senza ombra di dubbio che sui fondali c’è la presenza di vari ordigni bellici anche di grosso calibro. Inoltre la Soprintendenza ai beni archeologici della Campania ha eseguito negli ultimi anni delle campagne conoscitive dei fondali di Capri ove identificare alcuni enormi giacimenti di reperti archeologici da trasporto, come anfore o altro (Capri in epoca imperiale era crocevia del mediterraneo). La ricerca è stata portata avanti con strumentazione oceanica, registrando moltissimi kmq di fondali. La mappatura ottenuta dalla ricerca è sotto segreto di stato per evitare speculazioni. Sarebbe però molto interessante verificare se da quello che hanno potuto vedere e registrare c’è qualcosa di anomalo che testimoni la presenza di vecchi ordigni chimici sui fondali del Golfo di Napoli.

La situazione del Golfo di Napoli è stata oggetto anche di una tappa della campagna Goletta Verde 2011 di Legambiente a Ischia. In quest’occasione l’associazione ambientalista, insieme al Coordinamento nazionale bonifica armi chimiche, ha deciso di muovere un passo formale per chiedere alle autorità competenti chiarezza ed eventuali provvedimenti in merito. Lo scorso autunno è stata quindi inviata una lettera alla Capitaneria di Porto di Napoli e al Ministero della Difesa, che hanno prontamente risposto nelle settimane successive.

Nella risposta del Ministero della Difesa viene evidenziato come la Marina Militare abbia intrapreso già nel 1945/46 un’intensa attività di bonifica in molti tratti di costa italiana, tra cui anche l’area del Golfo di Napoli, come riportato nell’archivio storico della Marina Militare.

Un intervento è stato eseguito anche di recente in località Bocca Piccola, tra Punta Baccoli e l’isola di Capri, con l’Operazione “Baccoli ‘04”, svoltasi nel giugno 2004. Ma rimane aperta la questione dello specchio di mare compreso tra le due isole. Come sottolinea lo stesso Ministero, per un’area così ampia occorrerebbe attuare un intervento di bonifica sistematica che richiederebbe un finanziamento da parte di una specifica Amministrazione o Ente competente, sulla base di dati che individuino una specifica area di intervento. Insomma bisogna prima avviare un’indagine accurata per individuare le dimensione dell’area e sulla base di questo studio si può avviare la fase di bonifica, dopo averne valutato le tecniche da impiegare, i tempi e le modalità di esecuzione. La lettera si conclude con la più ampia disponibilità per ogni ulteriore chiarimento in merito. Rimane però l’ostacolo di individuare un soggetto finanziatore per attivare un’indagine accurata dei fondali del golfo di Napoli e l’eventuale consecutiva bonifica.

Dal Dossier “Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa”, presentato questa mattina a Roma.