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Clima, Greenpeace e Re: Common scrivono a Intesa Sanpaolo: «Stop investimenti sul carbone in Australia e nel mondo»

ROMA, 30 gennaio 2020 – Greenpeace Italia e Re:Common hanno scritto nelle scorse ore ai vertici di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro e Carlo Messina (rispettivamente Presidente del CDA e AD della banca) per chiedere una rapida riduzione dei finanziamenti dell’istituto bancario italiano a tutte le attività collegate alle fonti fossili. Le due organizzazioni ambientaliste in particolare chiedono di cancellare immediatamente il finanziamento di 77 milioni di euro concesso all’azienda indiana Adani, cui è stato autorizzato dal governo australiano il devastante progetto di sfruttamento del giacimento minerario del bacino carbonifero del Galilee Basin, nel Queensland australiano.

Le devastanti immagini degli incendi australiani cui assistiamo ormai da settimane seguono devastazioni simili avvenute nei mesi scorsi in Siberia, Amazzonia e California, alluvioni prima impensabili in Africa ed eventi sempre più estremi registrati di recente anche nel nostro Paese. Segnali che ci confermano le peggiori previsioni sulla forza degli impatti del clima che cambia.

Il mondo della finanza non può dirsi estraneo a quanto sta accadendo al clima e al nostro Pianeta. Come dimostra il rapporto pubblicato da Greenpeace International “It’s the Finance Sector, stupid”, che svela il cinismo e l’ipocrisia della grande finanza che, con una mano spande briciole per interventi per la sostenibilità, mentre con l’altra finanzia progetti devastanti e pericolosi. Greenpeace e Re:Common chiedono se questo è il gioco che sta giocando oggi anche Intesa Sanpaolo.

«Intesa Sanpaolo si propone tra i protagonisti del Green Deal con un fondo di 50 miliardi di euro, ma le ricerche finanziarie di Urgewald e Re:Common basate sulla Global Coal Exit List rivelano come l’istituto italiano sia il decimo prestatore al mondo per progetti e società che promuovono l’espansione del carbone», dichiara Antonio Tricarico, Program Director di Re:Common.

Nel complesso, tra il 2017 e il 2019 – quando la Comunità Internazionale avrebbe dovuto impegnarsi a rispettare lo spirito dell’Accordo di Parigi sul Clima, e mantenere l’aumento di temperature entro 1,5 gradi a fine secolo – Intesa Sanpaolo ha elargito prestiti per 2,6 miliardi di euro ad aziende legate al carbone.

«Tra i finanziamenti più sporchi di Intesa Sanpaolo c’è quello ad Adani che proprio in Australia, dove milioni di animali e intere foreste sono carbonizzati per gli incendi in corso alimentati dal cambiamento climatico, ha avviato lo sfruttamento del Galilee Basin», dichiara Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia.

Lo sfruttamento del bacino carbonifero del Galilee Basin era già stato incluso nel 2013 tra le “bombe climatiche” più pericolose dal rapporto di Greenpeace “Point of no return”. Intesa Sanpaolo non può presentarsi come paladina del Green Deal se continua a finanziare le fonti fossili e, in particolare, compagnie come Adani che continuano a puntare sul carbone.

 

Tra l’altro, Intesa Sanpaolo è tra i finanziatori del contestatissimo progetto dell’oleodotto DAPL, bloccato da Obama e poi autorizzato da Trump. Greenpeace e Re:Common chiedono a Intesa Sanpaolo di fare la sua parte nel distanziarsi, velocemente, da quelle aziende che continuano a devastare il nostro Pianeta e a mettere a rischio il nostro futuro. Su questi temi le due associazioni sono pronte a un confronto con l’azienda ma chiedono ma chiedono prima passi concreti e visibili: la cancellazione del finanziamento ad Adani è il primo passo necessario per dare credibilità ai proclami green di Intesa Sanpaolo.