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Shipping and Law 2014, la finanza accende il dibattito sul futuro dell’armamento

DiGiovanni Grande

Ott 9, 2014

Si chiude la V edizione dell’evento organizzato da Francesco Saverio Lauro

L’immobile panorama delle navi inattive in porto, immagine caratteristica delle crisi passate, non si è ripresentato in questi anni. Considerazione sufficiente per dare la misura di una congiuntura che impatta in modo inedito anche sui destini dello shipping internazionale. Non solo gli squilibri strutturali dell’economia globalizzata. Anche un progressivo mutamento degli assetti geopolitici, sommato alla svolta tecnologica resa necessaria da un’impostazione legislativa più orientata al rispetto dell’ambiente e al mutamento stesso in atto nella natura dell’attività: tutti fattori che rischiano di sorprendere il settore in mezzo al guado. Problematiche complesse, discusse alla quinta edizione della conferenza Shipping and Law che ha riunito a Napoli importanti esponenti internazionali della filiera marittima.
“L’industria armatoriale si trova oggi a un bivio – ha sintetizzato l’organizzatore dell’evento, Francesco Saverio Lauro, avvocato marittimista, già presidente dell’Autorità Portuale di Napoli – da una parte l’elevato costo del petrolio e le nuove norme ambientali richiedono massicci investimenti in nuove tecnologie e design, dall’altra le fonti tradizionali di finanziamento sembrano essersi inaridite, tenuto conto del mercato dei noli che non accenna ad uscire da una crisi che dura da molti anni”.
Una dicotomia che ha rinfocolato il dibattito in atto da tempo sul ruolo del capitale privato (e sulla sua “compatibilità” con i tempi lunghi dell’industria dello shipping) offrendo alcuni spunti in merito alle opzioni da mettere in campo. “Lo sviluppo delle navi sta accelerando – ha sottolineato Ugo Salerno, Ceo Rina – ma non è chiaro ancora la direzione da intraprendere per disciplinare gli ordinativi. Gli attori non sono più i tradizionali armatori, devono confrontarsi con un enorme flusso di capitali. C’è bisogno di risposte veloci e la prima è il consolidamento, raggiungere una capacità dimensionale in grado di competere con chi è orientato alla mera speculazione”.
Dunque “contare” anziché “pesare” i capitali come esortato a fare dall’avvocato Lauro in un invito agli armatori a “prendersi cura della propria attività”? Fabrizio Vettosi, Managin Director Venice Shipping and Logistic, ha difeso con impeto la prima scelta. “L’ingresso dei private equity rappresenta un’opportunità che ha contribuito a cambiare l’approccio delle società. La questione riguarda solo il modo giusto con cui affrontare il mercato. Perché gli armatori non ammettono le loro colpe visto che comunque le banche rappresentano ancora la fonte principale di finanziamento dello shipping?”.
Sotto la lente anche i paletti “irresponsabili” piantati per i prossimi anni dalle nuove normative sul rispetto ambientali. “Troppo brevi i tempi per l’adeguamento tecnologico delle navi – denuncia Emanuele Grimaldi, presidente di Confitarma – non esiste solo la sostenibilità ecologica, non è stato fatto niente per quella economica. Stiamo andando verso unità con performance eccezionali ma, considerando che la vita di un mezzo deve essere di 20-25 anni, e con i retrofit che permettono di ottenere ottimi risultati, si rischia di non superare la crisi perché l’investimento in nuove ecoship rischia di rompere gli equilibri”.
Una possibile risposta potrebbe essere il mercato secon-hand. “Le ecoship – ha spiegato Ugo Salerno – metteranno fuori gioco le navi più vecchie. Meccanismi di regolazione dei prezzi potrebbero aiutare a mettere fuori gioco il naviglio meno efficiente mentre con adeguati retrofit il mercato di seconda mano può offrire mezzi prestazioni più che competitivi”.
Discusse anche questioni legate al settore legislativo, assicurativo e contrattuale. Oltre alle opportunità, sul versante infrastrutturale, rappresentato dalle risorse europee. “La Comunità europea – ha ricordato il presidente del Banco di Napoli Maurizio Barracco – ha reso disponibili circa 30 miliardi di euro dal 2014 al 2020, il 75% dei quali destinati al Sud. E’ l’occasione per rendere il sistema efficiente, a partire da infrastrutture fondamentali come quelle legate alla logistica, in modo da confrontarci ad armi pari con la concorrenza non solo dei paesi dell’Ocse, ma anche di quelli del sud Mediterraneo”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, Lorenzo Matacena, amministratore di Caronte & Tourist: “I soldi che l’Ue mette a disposizione puntano a favorire politiche di risparmio energetico e cambi di tecnologia che possono essere meno inquinanti. In questo senso ci sono possibilità di investimento nei porti legati ad esempio all’utilizzo del gas naturale liquido o del metanolo, che sono già realtà visto che siti di stoccaggio ci sono nei porti danesi, svedesi e quello di Rotterdam è stato appena finito. Il problema in Italia è che non esiste una normativa che consenta l’utilizzo del gas liquido nelle navi”.