• 19 Aprile 2024 20:58

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I fattori che influiscono sulla competitività industriale nell’Ue

Scarso accesso finanziario, costi dell’energia, poca  innovazione zavorrano le aziende

La relazione del 2014 sulla competitività europea, dal titolo “Aiutare le imprese a crescere”, conferma che il settore manifatturiero dell’Ue ha ancora consistenti capacità concorrenziali e individua i fattori che permettono di sfruttare i propri punti di forza e promuovere la crescita. Il documento evidenzia che l’Unione ha mantenuto le proprie capacità concorrenziali in diversi settori grazie a una forza lavoro altamente qualificata, a un elevato contenuto nazionale dei beni destinati all’esportazione e ai vantaggi comparativi derivanti da prodotti complessi e di elevata qualità.
Per quanto riguarda le piccole e medie imprese (PMI), emerge che le imprese piccole e giovani incontrano maggiori difficoltà per ottenere prestiti bancari rispetto ad altre imprese anche con risultati finanziari equivalenti. Ciò indica che il mercato dei prestiti bancari non sta funzionando in modo efficiente. Nello stesso tempo le imprese più piccole e più recenti hanno minori probabilità di accedere ai mercati esteri. La relazione ha individuato altri fattori che influiscono sulla competitività industriale, tra i quali vi sono la pubblica amministrazione, l’innovazione e i prezzi dell’energia.
Il livello di efficienza della pubblica amministrazione si è rivelato un fattore che influisce direttamente sulla crescita delle imprese. Per quanto concerne l’innovazione, la capacità di quest’ultima di generare occupazione varia nel corso del ciclo economico e si è rivelata maggiore per le imprese che innovano in termini di prodotto rispetto agli innovatori di processo o di strutture organizzative. La competitività è stata influenzata negativamente dai prezzi dell’energia elettrica e del gas, che nell’UE sono più elevati e sono recentemente cresciuti più che in diverse altre economie. La relazione rileva inoltre che i miglioramenti in termini di efficienza energetica non hanno pienamente compensato l’impatto negativo dell’aumento dei prezzi dell’energia.

 Gli esportatori dell’UE godono di vantaggi comparativi nella maggior parte dei settori manifatturieri, compresi quelli caratterizzati da un’elevata intensità tecnologica, ad esempio il settore dei prodotti farmaceutici, o da un’intensità tecnologica medio-alta, come il settore dei prodotti chimici, dei macchinari e delle attrezzature, degli autoveicoli e di altri mezzi di trasporto. L’Europa aggiunge un valore elevato alle proprie esportazioni, creando posti di lavoro. La quota del valore aggiunto europeo nelle esportazioni manifatturiere dell’UE è di circa l’85%, un livello comparabile a quello del contenuto nazionale delle esportazioni manifatturiere giapponesi o statunitensi. Il contenuto nazionale delle esportazioni cinesi o sudcoreane è molto inferiore; le merci esportate da tali paesi infatti si basano maggiormente su beni e servizi intermedi esteri, dei quali più del 5% proviene dall’UE. La relazione rileva inoltre che le esportazioni manifatturiere dell’UE sono più sofisticate e complesse di quelli provenienti da molte altre economie e che il settore manifatturiero dell’UE è caratterizzato da un quota crescente di manodopera altamente qualificata.

L’economia dell’UE è ancora lontana dal raggiungimento dei propri obiettivi di reindustrializzazione per il 2020: 20% del prodotto interno lordo (PIL) attribuibile al settore manifatturiero, spesa in ricerca e sviluppo pari al 3% del PIL, investimenti fissi lordi pari al 23% del PIL. La quota aggregata del PIL attribuibile al settore manifatturiero si è ridotta, passando dal 18,5% nel 2000 a poco più del 15% nel 2013. La relazione evidenzia che l’evoluzione negativa della quota del settore manifatturiero nel corso degli ultimi 25 anni si deve anche all’effetto del calo dei prezzi dei manufatti rispetto ai prezzi dei servizi, come conseguenza di una più elevata crescita della produttività nel settore manifatturiero. Nell’UE la ripresa è stata lenta. Mentre Polonia, Slovacchia, Romania, Estonia e altri Stati membri hanno già superato i livelli massimi di produzione manifatturiera anteriori alla recessione, la maggior parte degli Stati membri ancora oggi produce meno rispetto a prima della crisi, e tra essi alcuni (segnatamente Grecia e Cipro) si trovano ancora in corrispondenza o in prossimità del livello più basso dall’inizio della recessione.

L’accesso a finanziamenti esterni è fondamentale per permettere alle aziende di investire, innovare e crescere. L’insufficienza di finanziamenti è conseguenza delle imperfezioni dei mercati finanziari e può limitare gli investimenti e le possibilità di crescita delle imprese; vi sono infatti progetti economicamente validi che possono rimanere privi di finanziamento.  In generale, le restrizioni finanziarie si sono fatte sentire in maggior misura negli Stati membri colpiti più duramente dalla crisi, ad esempio Irlanda, Grecia e Spagna. Viceversa gli effetti più moderati sono stati registrati in quegli Stati membri in cui l’impatto della crisi è stato inferiore e, in alcuni casi, in cui i settori finanziari sono rimasti stabili, ad esempio in Finlandia e in Svezia. Le imprese piccole e giovani incontrano maggiori difficoltà per ottenere prestiti bancari rispetto ad altre imprese anche con risultati finanziari equivalenti. Ciò indica che il mercato dei prestiti bancari non sta funzionando in modo efficiente. Queste imperfezioni del mercato possono derivare da asimmetrie informative che influenzano sia chi concede sia chi contrae prestiti. Per quanto concerne i diversi settori, l’accesso ai finanziamenti esterni è un fattore più importante in termini di generazione di nuovi investimenti per i settori manifatturiero e delle costruzioni che per il settore dei servizi. Dalla relazione emerge anche che le aziende con minori vincoli finanziari hanno maggiori probabilità di esportare; è vero però che i vincoli finanziari non incidono sull’intensità delle vendite all’esportazione1 di aziende già attive sui mercati esteri.  Alcuni interventi programmatici potrebbero aiutare ad affrontare le inefficienze del mercato finanziario: per esempio, l’istituzione di agenzie di rating del credito centralizzate a livello nazionale o dell’UE potrebbe essere utile ai prestatori in quanto contribuirebbe all’omogeneità delle informazioni finanziarie sulle PMI. Per quanto concerne i mutuatari, sarebbe utile migliorare le conoscenze del mercato delle imprese piccole e giovani e fornire formazione in materia di preparazione delle proposte di crediti. La relazione indica inoltre che le aziende hanno bisogno di risorse finanziarie aggiuntive per poter esportare. Ciò può giustificare l’elaborazione di misure specifiche di politica finanziaria per aiutare le aziende in tal senso. Tali misure potrebbero rivestire la forma di crediti ed assicurazioni all’esportazione.

La relazione rileva che le PMI tendono ad entrare nei mercati esteri principalmente come esportatori; ciò richiede infatti investimenti di capitali più ridotti e comporta rischi inferiori. Gli investimenti diretti esteri (acquisizione di una partecipazione al capitale di un’impresa estera o creazione di una nuova impresa all’estero) sono una via all’internazionalizzazione meno comune tra le PMI e più diffusa invece tra le imprese di maggiori dimensioni. L’affiliazione commerciale (franchising) e la concessione di licenze (licensing) sono strumenti essenziali per entrare nei mercati esteri dei settori del commercio al dettaglio, alberghiero e della ristorazione, in cui le esportazioni svolgono un ruolo meno importante.  Le aziende che operano nei settori manifatturiero, del software e dei servizi alle imprese partecipano alle esportazioni in modo più significativo. Gli oneri amministrativi nel paese d’origine, come ad esempio una più complessa regolamentazione in materia di esportazioni e attività commerciali, contribuiscono a ridurre la partecipazione delle PMI alle esportazioni. Vi sono inoltre caratteristiche del paese di destinazione, come le dimensioni del mercato, la lingua e la distanza geografica, che influiscono sensibilmente sull’attività di internazionalizzazione delle PMI, in particolare per le microimprese. Le PMI ad elevata intensità di competenze fanno registrare tassi di produzione e di crescita dell’occupazione più elevati rispetto alle PMI con una manodopera meno qualificata; complessivamente esiste una stretta relazione tra PMI innovative e livelli di partecipazione alle esportazioni. I fattori che influiscono sulle decisioni delle PMI di entrare nei mercati esteri possono essere classificati in due categorie: fattori interni specifici dell’impresa e fattori esterni. I fattori interni specifici dell’impresa comprendono le dimensioni dell’azienda, la produttività della manodopera, l’intensità delle competenze, le attività di innovazione e la proprietà estera. I fattori esterni comprendono le caratteristiche del mercato nazionale, ad esempio l’esistenza di programmi di promozione delle esportazioni, i costi amministrativi e di trasporto associati alle esportazioni, nonché le caratteristiche del paese di destinazione, quali le tariffe, il contesto regolamentare, i fattori di rischio politico, la distanza geografica e i fattori culturali.

L’efficienza della pubblica amministrazione (PA) ha ripercussioni sulla crescita delle imprese, in termini sia di occupazione sia di quota delle imprese a forte crescita rispetto al numero totale di imprese. Una maggior efficienza della PA porta ad un aumento del numero delle imprese a forte crescita, in quanto contribuisce ad aumentare il fatturato dell’impresa e il tasso di ingresso netto di nuove imprese sul mercato. La qualità del sistema di governance, in particolare la presenza di un potere giudiziario indipendente e l’assenza di corruzione, rivestono una particolare importanza a tale riguardo.  L’innovazione, specialmente a livello di prodotti, crea occupazione. L’entità dell’occupazione generata dall’innovazione varia nel corso del ciclo economico ed è maggiore per l’innovazione dei prodotti rispetto all’innovazione dei processi o delle strutture organizzative.

La relazione comprende uno studio sul rapporto tra la crescita dell’occupazione e l’innovazione; tale studio si basa sull’analisi di un ampio campione di imprese europee (l’indagine comunitaria sull’innovazione) ed esamina in particolare come cambia il rapporto tra innovazione ed occupazione nel corso delle diverse fasi del ciclo economico.  Dalla relazione emerge che le imprese innovative creano più occupazione rispetto alle imprese non innovative in tutte le fasi del ciclo economico. Questa tendenza è osservabile in particolare durante i periodi di crisi e di recessione.  Le imprese che innovano a livello di prodotto creano più occupazione rispetto alle aziende che innovano in altri campi, in quanto con le vendite più elevate dei nuovi prodotti creano più posti di lavoro di quanti ne perdono a causa del calo delle vendite dei loro vecchi prodotti. Nella maggior parte dei casi, a un aumento dell’innovazione di prodotto pari all’ 1% corrisponde un incremento lordo dell’occupazione dell’1%. L’innovazione di processo e delle strutture organizzative produce effetti di minor rilievo sull’occupazione rispetto all’innovazione di prodotto. L’innovazione di prodotto contribuisce alla crescita dell’occupazione in misura più rilevante durante i periodi di ripresa e di espansione economica, in cui le condizioni economiche favorevoli portano a un aumento delle vendite dei nuovi prodotti. L’innovazione di prodotto è tuttavia importante anche nei periodi di recessione, durante i quali contribuisce a proteggere l’occupazione. Durante tali periodi le perdite di posti di lavoro sono molto più ridotte per le aziende innovatrici a livello di prodotto che per quelle che innovano in altri campi. Lo studio sottolinea l’importanza di sostenere l’innovazione a livello programmatico, anche tramite il sostegno agli investimenti in attività legate all’innovazione. Un simile sostegno si rivelerebbe particolarmente importante durante le fasi di recessione, dato che l’innovazione cala quando le imprese temono che la futura domanda crescerà più lentamente o non crescerà affatto. La constatazione secondo cui l’innovazione di prodotto è essenziale per stabilizzare la crescita dell’occupazione durante i periodi di recessione è coerente con l’idea che sia fondamentale mantenere gli investimenti in ricerca e sviluppo durante le fasi di recessione.

I prezzi dell’energia elettrica e del gas sono aumentati in misura maggiore nell’UE che in numerose altre economie. Sebbene rappresentino poco meno del 5% della produzione lorda nelle economie avanzate come l’UE, il Giappone e gli Stati Uniti, i costi energetici sono generalmente aumentati nel corso del tempo. Per i settori ad elevata intensità energetica il costo dell’energia può costituire un fattore di competitività determinante.  In tutte le più importanti economie, e specialmente in Europa, si è verificata una forte convergenza al ribasso in termini di intensità energetica. Tale processo è stato sospinto principalmente dai miglioramenti tecnologici, ma non va trascurato il ruolo svolto dalla transizione strutturale verso settori ad intensità energetica più ridotta, specialmente nei paesi dell’UE-12. Per contro, nell’UE-15 si è verificata una transizione strutturale verso il settore dei prodotti chimici, che ha limitato la riduzione dell’intensità energetica.

I prezzi del gas e dell’energia elettrica per gli utenti finali nel settore industriale variano considerevolmente nei diversi paesi. Nel caso del gas naturale, tale fenomeno è il riflesso della frammentazione regionale dei mercati all’ingrosso, delle differenze tra le formule di tariffazione del gas all’ingrosso e dei diversi livelli di regolamentazione dei prezzi per gli utenti finali. Negli Stati Uniti i prezzi del gas sono in larga misura indipendenti dai mercati del petrolio e tendono ad essere molto più bassi. La recente “rivoluzione” del gas di scisto e l’elevato livello di trasferimento di prezzi inferiori hanno anch’essi contribuito a mantenere i prezzi all’industria ad un livello all’incirca pari ad un quarto della media OCSE-Europa. I prezzi del gas per l’industria in Cina variano notevolmente da regione a regione, ma in media sono sostanzialmente allineati ai prezzi europei. I prezzi dell’energia elettrica in Europa sono attualmente il doppio di quelli degli Stati Uniti e ci si attende che il divario aumenti ulteriormente. I costi di rete e le imposte sull’energia elettrica hanno contribuito in misura significativa alla crescita sostenuta dei prezzi dell’energia elettrica in Europa. Esistono tuttavia tra gli Stati membri differenze sostanziali che investono i metodi di produzione dell’energia, le imposte e l’assegnazione di sovvenzioni per le energie rinnovabili. I costi dell’energia sono diminuiti in alcuni Stati membri grazie alla diffusione delle energie rinnovabili, dato che i costi variabili dell’energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili sono molto contenuti.

Gli aumenti dei prezzi dell’energia, se non vengono compensati da miglioramenti dell’intensità energetica, possono avere serie ripercussioni sia sui costi di produzione sia sulla competitività industriale. Per quanto concerne i miglioramenti in termini di efficienza energetica, l’UE ha fatto registrare risultati migliori rispetto ai suoi principali concorrenti in numerosi settori manifatturieri. La relazione indica tuttavia che in generale tali miglioramenti non sono bastati a neutralizzare completamente gli effetti negativi dell’aumento dei prezzi dell’energia: un aumento dei prezzi dell’energia elettrica pari all’1% provoca una variazione dell’intensità energetica negativa ma inferiore a 1 in quasi tutti i settori, il che porta ad un aumento complessivo dei costi energetici negli ambiti produttivi e del valore aggiunto. Prendendo spunto da tali risultati, la relazione dimostra che un aumento dei costi energetici ha avuto conseguenze negative per la competitività delle esportazioni; ciò conferma l’importanza del lavoro intrapreso dalla Commissione nel campo dei costi e dei prezzi energetici. Come era prevedibile, i settori ad elevata intensità energetica sono quelli più duramente colpiti dall’aumento dei costi dell’energia.