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Concordia mette in guerra i porti italiani

DiGiovanni Grande

Set 18, 2013

Piombino, Genova, Civitavecchia, Napoli e Palermo vogliono il relitto. Ipotesi turca?

Sette mesi per la realizzazione delle opere in grado di poter ospitare Costa Concordia a Piombino. È quanto sarà richiesto alle imprese che si aggiudicheranno i lavori di potenziamento infrastrutturale inserite nel piano regolatore dello scalo toscano. Opere già messe a gara entro la fine del mese che ammontano a 111 milioni di euro: una banchina di 370 metri per 50 di larghezza; un molo foraneo di 1.200 metri comprensivo della banchina; un canale di accesso al porto con un pescaggio di 20 metri e un piazzale di 80mila metri quadrati. Tutto pronto entro il giugno 2014, data entro cui il relitto il relitto lascerà il Giglio per il porto di destinazione. Luciano Guerrieri, presidente dell’Ap di Piombino, ha parlato chiaro. E nella gara che si è aperta appena terminate le operazione di recupero della Concordia difende il suo porto. Il più vicino al luogo dell’incidente, quello che, stando alle direttive europee sul trasporti di rifiuti speciali (tale è considerata la nave di Costa), è la sede naturale di approdo per le operazioni demolizioni. Ad oggi, certo, le banchine non sarebbero in grado di assolvere al compito pur vantando dalla loro la vicinanza con un polo siderurgico in attesa di rilancio. Ma, sottolinea Guerrieri, “ci saranno due turni di lavoro da 8 ore ciascuno e se necessario anche tre”.

Come che sia, complice la mancanza di indicazioni precise su Piombino da parte del ministro dell’ambiente Orlando, è partita una guerra sorda tra i porti d’Italia per un’operazione che secondo le stime potrebbe portare lavoro a circa 200 persone per due anni. Ultima, in ordine di apparizione, quella di Genova. Il settore cantieristico del porto, ha fatto sapere Merlo, “rappresenta un’eccellenza a livello mondiale”. Anche se, aggiunge, necessita di un intervento di dragaggio. Sulla stessa lunghezza d’onda, dal nord al sud della penisola, le avances di Civitavecchia e Palermo, scalo quest’ultimo sede di uno stabilimento di Fincantieri alla ricerca affannosa di ossigeno per superare la mancanza di commesse. Non manca il porto di Napoli. Già nei mesi scorsi, con una lettera di Caldoro al governo, fu assicurata la massima disponibilità delle banchine campane.  “La Cantieri del Mediterraneo – annuncia a Repubblica Luigi Salvatori, consigliere della società che gestisce gli spazi più grandi del porto di Napoli per i lavori navalmeccanici – ha i pescaggi e gli spazi adatti. È

 solo un problema di fattibilità tecnico-economica. Noi siamo pronti, unitamente a tutte le officine portuali”.

Ma tra tanti litiganti potrebbe godere il terzo incomodo. Tra le ipotesi ventilate ultimamente anche il trasferimento della nave in Turchia, paese che in virtù di costi più che competitivi sta conquistando lo scettro mediterraneo nel settore delle demolizioni navali. Un indizio potrebbe essere rappresentato dall’aggiudicazione, proprio a un cantiere turco, dello smantellamento delle cinque lance della Concordia. Custodite all’Argentario saranno trasferite tramite container verso la fine di settembre. Un’idea contro cui si è schierata con fermezza Legambiente. “Ci auguriamo fortemente che la Concordia, con lo scafo così lesionato, sia condotta in un porto vicino in grado di garantire adeguatamente la sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente e per questo respingiamo con forza l’ipotesi, tornata a circolare, di portarla fino in Turchia, dove, come dimostrano anche recenti incidenti, molti cantieri non sono adeguati alle nuove normative dell’Unione Europea”, spiega Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale dell’associazione. Per Legambiente bisognerebbe cogliere l’occasione “per creare subito un polo attrezzato, all’avanguardia nel Mediterraneo e in linea con le misure richieste dalla recente normativa comunitaria, per rottamare le grandi navi secondo tecniche innovative rispettose dell’ambiente e della salute degli operai”.